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Stalking: Legge e sentenze della Cassazione sul reato di stalking.

Stalking

Stalking reato

Stalking: articoli di legge e sentenze della Corte di Cassazione su reato di stalking, disturbi, telefonate anonime, molestie. Stalking reato penale. 

Rassegna di sentenze della Corte di Cassazione a cura dell’agenzia investigativa A-Z e del suo titolare Dario Caldelli, investigatore privato professionista dal 1975, cui puoi rivolgerti per un preventivo telefonico immediato al n° 3356661227 (24 ore su 24) e per una consulenza, su ogni tipo di investigazione privata e sull’utilizzo legale di apparecchiature investigative adatte al tuo “caso”. 

Legge stalking
Legge stalking

 

CODICE PENALE

Art. 660.
Molestia o disturbo alle persone.

“Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516.”

(Per giurisprudenza consolidata, la petulanza consiste in un comportamento intollerabile poiché pressante, indiscreto o impertinente, che superi la comune civiltà, al quale la vittima non può sottrarsi se non invocando protezione; 

Riguardo la “pubblicità” del luogo la Cassazione, con la pronuncia 11524/1986, ha precisato che vi rientra sia il caso in cui la vittima si trova in un luogo privato mentre il molestatore si trova in un luogo pubblico sia la situazione inversa: in pratica almeno uno dei due deve trovarsi in luogo pubblico.

 Il dolo consiste nella volontà di interferire sulla sfera di libertà della vittima con petulanza e per biasimevole motivo, tutte le altre motivazioni si collocano al di fuori del penalmente rilevante). 

Art. 612 bis

(Articolo inserito dal D. L. 23 febbraio 2009, n. 11)

Atti persecutori

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonchè quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

Stalking reato
Stalking reato

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

Sentenza 22 giugno – 21 settembre 2010, n. 34015 (sullo stalking)

Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi avverso la ordinanza in data 26 novembre 2009 con la quale il Tribunale del riesame di Napoli ha accolto l’impugnazione proposta da D.G.G. avverso l’ordinanza del Gip, applicativa della misura cautelare ex art. 282 ter c.p.p. in relazione alla contestazione del reato di cui all’art. 612 bis c.p..

Per l’effetto, il Tribunale ha annullato la detta ordinanza cautelare ritenendo di non ravvisare il necessario compendio indiziario in materia di stalking. In particolare, ad avviso del Tribunale, gli elementi indiziari raccolti e cioè un paio di SMS telefonici inviati alla presunta vittima nonché altrettanti comportamenti dell’indagato (posti in essere uno nel ****) risoltisi in un caso in minacce di morte e nell’altro caso in un fatto di diffamazione, non presentavano il carattere della persecutorietà e della attitudine a generare uno stato di ansia tale da impedire alla persona offesa la propria vita lavorativa e familiare.

Deduce il vizio di motivazione e la erronea applicazione dell’art. 612 bis c.p..

Sotto il primo profilo il PM denuncia di illogicità l’argomentare del giudice del riesame che da un lato ha verificato i comportamenti ingiuriosi e minacciosi dell’indagato ma, dall’altro, ha negato loro qualsiasi attitudine alla invasività nella vita della persona offesa.

Sotto il secondo profilo sottolinea che il Tribunale ha ritenuto non dimostrato lo stato patologico della vittima, dimenticando che tale stato è previsto solo per una delle ipotesi alternative di stalking, quella cioè del cadere in uno stato di ansia e di paura. Era rimasta del tutto apoditticamente negata la integrazione della ulteriore modalità attuativa del reato, costituita dal versare, la vittima, nel timore per la incolumità propria a causa del comportamento vessatorio dell’indagato.

In data 14 giugno 2010 è pervenuta una memoria di replica nell’interesse del D.G. nella quale si da atto della completezza e logicità del provvedimento impugnato.

Il ricorso è fondato.

Dalla lettura del capo di imputazione provvisorio si evince che al D.G. è stato contestato il reiterato comportamento molesto nei confronti della M.V., in modo da provocarle sia “un grave stato di ansia” che “il fondato timore per la sua incolumità“.

Si tratta, come correttamente osservato dal PM impugnante, di condotte alternative capaci tutte e ciascuna di integrare il reato in discussione.

Il reato ex art. 612 bis c.p. è infatti previsto quando il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, sia tale da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero, in alternativa, da ingenerare nella vittima un fondato timore per la propria incolumità ovvero, infine, tale da costringere la vittima stessa ad alterare le proprie abitudini di vita.

Il Tribunale è giunto ad escludere che le condotte dell’indagato abbiano avuto rilievo nell’ottica della provocazione dello stato di ansia e in quello di ingenerare la necessità di mutare le abitudini di vita: in particolare ne ha escluso il carattere assillante e /o persecutorio.

Tale conclusione appare però non in linea logica con la ricostruzione della vicenda, così come operata nella prima parte del provvedimento.

Lo stesso Tribunale ha infatti dato atto della denuncia della persona offesa la quale ha riferito di molestie telefoniche da maggio a luglio, di squilli telefonici anche nel corso della notte e della ricezione di sms; ha attestato altresì che la persona offesa ha anche raccontato di ripetute aggressioni verbali alla presenza di testimoni e delle iniziative gravemente diffamatorie assunte presso i propri datori di lavoro per indurli a licenziarla. Ancora il Tribunale ha dato atto dell’accertata ricezione degli sms, delle minacce di morte proferite dall’indagato all’indirizzo della denunciante affinché questa riprendesse la relazione sentimentale con lui ed infine delle azioni diffamatorie.

In conclusione, mentre appare oggettivamente indubbio il carattere ripetuto delle iniziative di molestia e di minaccia riportate nel provvedimento, non chiaro risulta se il Tribunale, nel dare atto, consecutivamente, di quelle denunciate e di quelle accertate, abbia inteso sostenere che le diverse emergenze si saldano ovvero che gli accertamenti di PG abbiano indotto a circoscrivere la attendibilità della persona offesa. Nel primo caso, infatti, apparirebbe manifestamente illogica o quantomeno del tutto carente di spiegazione razionale l’affermazione che si sia trattato anche di comportamenti contenuti nel numero e nella qualità, non “assillanti” e “non invasivi della vita altrui”;. Soprattutto , alla luce della carenza di motivazione evidenziata, risulta del tutto manchevole anche l’analisi riguardo alla attitudine dei detti comportamenti ad ingenerare un perdurante e grave stato di ansia o anche soltanto di paura oppure un fondato timore per l’incolumità propria o altrui, requisiti tutti previsti, come detto alternativamente, dall’art. 612 bis e oggetto di esplicita contestazione.

L’affermazione in tal senso resa dai giudici presenta invero carattere di apoditticità e l’esame del punto deve dunque essere ripetuto.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

Cassazione, Sezione Penale

Sentenza n. 2113 del 15 gennaio 2008 

 Con sentenza in data 7 marzo 2006 il Tribunale di Sciacca ha dichiarato R. S. colpevole della contravvenzione all’art. 660 c.p., commessa ai danni di S. C., in […], e lo ha condannato alla pena di Euro 300,00 di ammenda, oltre che al risarcimento dei danni morali in favore della persona offesa, costituitasi parte civile, liquidati in complessivi Euro 500,00.

Il Tribunale ha ritenuto provata la tesi accusatoria, per cui il R. S. aveva molestato la S. seguendola con la propria autovettura per motivi biasimevoli, sulla base dell’esame della persona offesa e dei testi S. G. e B. G., rispettivamente figlio e moglie separata del R. S., della cui attendibilità non si poteva dubitare, posto che non avevano neppure intentato azioni giudiziarie per tale fatto.

Attraverso l’esame di tali testi, non smentiti ed anzi sostanzialmente confortati dalle dichiarazioni del teste a difesa L.C., era emerso, secondo la ricostruzione del Tribunale, che il R. S. aveva seguito con la macchina la ex moglie e quindi anche la cognata di costei, S. C., che la accompagnava alla guida della propria autovettura, in più occasioni e fino all’episodio del […] nel corso del quale la persona offesa aveva avuto l’impressione che il R. S. volesse addirittura farla finire fuori strada…Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per la inammissibilità del ricorso.

 MOTIVI DELLA DECISIONE

… Il giudice di merito, ai fini della ricostruzione dei fatti consistenti in ripetuti ed insistenti episodi di inseguimento in macchina, fino all’ultimo del […] (che si era rivelato più grave dei precedenti in quanto la vittima aveva intuito che l’imputato voleva passare addirittura alle vie di fatto, buttandola fuori strada per costringerla a fermarsi), si è basato su ben tre testimonianze ritenute attendibili in quanto disinteressate e concordanti, oltre che sulla individuazione di una causale che giustificava le molestie per motivi di rivalsa che coinvolgevano la ex moglie che lo aveva lasciato e che veniva “scortata” dalla cognata e quindi su un apparato argomentativo complesso che non ha trascurato alcuna emergenza processuale. E tale conclusione non è sindacabile in sede di legittimità perché aderente ai principi di diritto ed inoltre sorretta da logica e puntuale motivazione, saldamente ancorata alle risultanze del quadro probatorio.

 In ogni caso, di fronte a tale apparato argomentativo completo e sostenuto da logica ineccepibile che ha portato ad attribuire all’imputato la condotta sanzionata sulla base di univoci e convergenti elementi oggettivi, la difesa si limita a ribadire la tesi già sostenuta nel giudizio di merito in chiave di logica alternativa alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, seguendo quindi un procedimento che non è consentito nel presente giudizio.

 Il ricorso deve essere pertanto respinto perché infondato sotto tutti i profili addotti, con le conseguenze di legge in punto di spese.

 P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Corte di Cassazione Sez. Quinta Pen.

Sentenza del 07.11.2011, n. 40105

Osserva

Il GIP presso il Tribunale di Salerno con ordinanza del 3 dicembre 2010 rigettava la richiesta di applicazione delle misure previste dall’art. 282 ter del codice di rito in danno di N. R., indagata per molestie nei confronti di V. F., collega di lavoro del marito, che molestava con assidue telefonate, anche più di cento al giorno, inducendole stato di ansia, insonnia e malessere, tanto da indurla a cambiare gruppo di lavoro: il GIP aveva disatteso la richiesta osservando che mancava la prova cautelare, non potendo essere rimessa alla mera enunciazione della parte lesa la sussistenza del grave e perdurante stato di ansia che la norma di cui all’art. 612 bis c.p. contempla.
Il Tribunale della Libertà di Salerno rigettava l’appello con cui il P.M. aveva impugnato l’ordinanza di cui s’è detto, condividendo con il GIP l’opinione che l’ansia ed il malessere di cui parla l’art. 612 bis c.p. devono essere effettivi e comprovati, richiedendo la norma il danno in concreto e non il mero pericolo di un danno; nel caso di specie la sussistenza attuale e concreta del suddetto danno era del tutto sfornita di riscontri oggettivi.
Avverso detto provvedimento propone ricorso il Pubblico Ministero, deducendo l’erroneità del provvedimento, atteso che era documentato come le molestie telefoniche (anche oltre cento telefonate al giorno) si fossero protratte per ben quatto mesi, che la parte offesa aveva anche chiarito quale fosse la ragione che le impediva di cambiare numero telefonico, spiegando che per il suo lavoro di venditrice a domicilio di aspirapolvere avrebbe perduto i contatti con tutti i suoi clienti; che infine era ovvio che tante telefonate quotidiane e per tanto tempo avessero cagionato malessere ed ansia alla parte offesa, e non era necessaria una verifica medico-legale di tale stato di disagio.
Il ricorso è fondato, atteso che la restrittiva interpretazione che il Tribunale di Salerno ha dato della norma, restringerebbe ad ipotesi limite la tutela cautelare, rendendola impossibile nella gran parte dei casi, atteso che se è ovvio che la misura cautelare non può essere invocata le volte in cui le molestie fossero episodiche o numericamente non significative, quando, come nel caso di specie, i comportamento lesivi sono numericamente imponenti e si protraggono nel tempo, è del tutto ozioso stare a disquisire sui danni che in concreto tale condotta abbia cagionato, atteso che lo stesso numero delle telefonate è fatto che di per sé comporta disagio più o meno intenso e stato d’ansia, e ciò solo basta a legittimare la tutela cautelare senza necessità di superflue verifiche mediche, perché non è necessario che la molestia debba sfociare in una patologia conclamata, ed anzi la tutela cautelare deve essere apprestata prima che il disagio sfoci in vera patologia.
L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Salerno, che provvederà, in diversa composizione, a nuovo esame facendo applicazione delle regole di diritto enunciate.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Salerno per nuovo esame.
Depositata in Cancelleria il 07.11.2011

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