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Separazione giudiziale: intollerabilità della convivenza. Art 151 CC

Separazione giudiziale

Separazione giudiziale per “intollerabilità della convivenza”

Nuova formulazione art 151 CC

Separazione giudiziale per “intollerabilità della convivenza” anche da parte di un solo coniuge (Cass. 21099/2007) a seguito nuova formulazione art 151 CC.

In questa pagina trovi una rassegna di sentenze sulla separazione giudiziale e la nuova formulazione dell’art 151 del Codice civile. 

Rassegna a cura dell’agenzia investigativa A-Z e del suo titolare Dario Caldelli, investigatore privato professionista dal 1975, cui puoi rivolgerti per un preventivo telefonico immediato al n° 3356661227 (24 ore su 24) e per una consulenza, su ogni tipo di investigazione privata e sull’utilizzo legale di apparecchiature investigative adatte al tuo “caso”. 

 

Codice civile

Art 151
Separazione giudiziale

La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole.

Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.

Separazione giudiziale
Separazione giudiziale

Corte di Cassazione Civile

sez. I

Sentenza 9/10/2007 n. 21099

Con ricorso al Tribunale di Torino in data 20 marzo 1998 B. S.M. chiedeva che fosse pronunciata la separazione personale dal marito S.M.  Lo S. si costituiva opponendosi alla separazione e, in subordine, chiedendo che fosse pronunciata con addebito alla moglie. Con sentenza in data 3 dicembre 2002 il Tribunale pronunciava la separazione senza addebito, affidava i figli minori alla madre, disponeva l’esercizio congiunto della potestà parentale, regolando il regime di visite secondo le richieste delle parti, rigettava la domanda di assegno della moglie, stabiliva l’assegno di mantenimento dei minori, a carico del padre, nella misura di Euro 2.065,83 mensili complessivi, da rivalutarsi annualmente. Avverso la sentenza lo S. proponeva appello, insistendo nella richiesta di rigetto della domanda di separazione e nella richiesta di affidamento alternato dei figli.

L’appellata si costituiva chiedendo il rigetto del gravame. La Corte di appello, con sentenza depositata il 5 aprile 2004, notificata il 28 aprile 2004, rigettava l’impugnazione. Avverso tale sentenza lo S. ha proposto ricorso a questa Corte, con atto notificato alla controparte in data 23 giugno 2004, formulando tre motivi.

La parte intimata resiste con controricorso notificato il 28 settembre 2004.

Il ricorrente ha anche depositato memoria.

Motivi della decisione

1. In via pregiudiziale va dichiarata l’inammissibilità del controricorso, notificato dopo la scadenza del termine di cui all’art. 370 c.p.c..

2. Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 706, 164, 183 e 184 c.p.c..

Si deduce al riguardo che, sia nel ricorso introduttivo del giudizio di separazione, sia nella memoria integrativa depositata dinanzi al giudice istruttore, la domanda di separazione era stata formulata in modo del tutto generico, mentre solo successivamente, dopo che il g.i. aveva fissato un doppio termine (20 aprile e 9 maggio 1999) per il deposito di memorie e repliche, con memoria 20 aprile 1999, l’attrice aveva dedotto, chiedendo di darne la prova, una serie di circostanze totalmente nuove. Si lamenta che erroneamente sia il Tribunale sia la Corte di appello avrebbero rigettato l’eccezione di esso ricorrente, secondo la quale sarebbe stata mutata la causa petendi della separazione, introducendo inammissibilmente nel giudizio fatti del tutto nuovi, in contrasto con il disposto dell’art. 706 c.p.c., a norma del quale il ricorso deve contenere “l’esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata”, senza che essi, a norma degli artt. 163 e 164 c.p.c., possano essere successivamente mutati. Si deduce che il ricorso introduttivo era invalido, stante la genericità delle deduzioni formulate a sostegno della domanda di separazione, cosicché il g.i. avrebbe dovuto fissare un termine per la sua integrazione ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 5, mentre la sua integrazione non poteva avvenire attraverso una memoria istruttoria, la cui funzione sarebbe unicamente quella di dimostrare la verità di fatti già dedotti e non d’introdurre nel processo fatti nuovi. Si deduce ancora che le prove dedotte non sarebbero comunque pertinenti alle circostanze genericamente indicate nel ricorso introduttivo e che la loro introduzione nel processo avrebbe leso il contraddittorio.

Il motivo è infondato.

Va premesso che, essendo con esso allegate violazioni processuali, questa Corte è tenuta ad esaminare gli atti dei gradi precedenti del giudizio. Come ha rilevato la sentenza impugnata, nel ricorso per separazione l’attrice aveva indicato le ragioni della separazione “nella particolare durezza e intransigenza del marito che si è tradotta in infinite imposizioni circa il regime di vita della famiglia”, dolendosi di avere invano “tentato di richiamare l’attenzione del marito sulle difficoltà manifestate dai figli, rispetto alla linea educativa imposta dal padre, invitandolo ad essere un poco più sensibile verso i reali bisogni dei bambini, ma senza alcun risultato”. Nel ricorso era stato altresì dedotto che di fronte alle difficoltà manifestate dai figli l’attrice aveva iniziato con i figli un ciclo di “terapia familiare”, ma “le resistenze manifestate dal marito a collaborare a tale progetto e le conseguenti difficoltà relazionali fra i coniugi hanno fatto venire definitivamente meno nell’esponente l’affectio maritalis”.

Tali deduzioni debbono ritenersi idonee a rendere sufficientemente specifica la domanda. D’altro canto esattamente la sentenza impugnata ha ritenuto che i capitoli di prova formulati con la successiva memoria istruttoria costituissero solo una specificazione degli elementi con essa introdotti, senza che vi sia stato il alcun mutamento della causa petendi allegata a sostegno della domanda di separazione. Infatti sia i capitoli riguardanti direttamente i rapporti personali fra i coniugi, sia quelli riguardanti i rapporti con i figli, attengono tutti al dedotto carattere del marito ed alle imposizioni che ne derivavano per i vari aspetti della vita familiare; mentre nessuna violazione del diritto di difesa si è verificata, essendo stati detti capitoli formulati nella memoria del 20 aprile 1999 ed avendo il g.i. dato termine ad entrambe le parti per replica sino al 9 maggio, ben potendo sino a tale data l’odierno ricorrente formulare prove contrarie o indicare testi in controprova.

2. Con il secondo motivo si denunciano la violazione degli art 151, 157, 244 e 253 c.c., nonché vizi motivazionali.

Con il motivo si deduce che la Corte di appello, motivando la sussistenza delle condizioni per la pronuncia di separazione, ha affermato: a) che la vita di una famiglia abbisogna di “un originario e di un rinnovato accordo di entrambi i coniugi” in mancanza del quale “se non esiste più la capacità di superare i dissidi, anche su aspetti marginali della vita quotidiana”, come nel caso di specie, “non esistono più le condizioni per i coniugi di formare una comunità, anche se ciò dipende dalla volontà di un singolo coniuge”; b) che dalle risultanze processuali è emersa una frattura del rapporto di coppia e un graduale ma inesorabile distacco da parte della moglie, a causa di situazioni e comportamenti che hanno nel loro complesso reso intollerabile la convivenza, facendo venir meno quella comunione spirituale e materiale che “deve stare alla base di un rapporto matrimoniale”; c) che in particolare è stata accertata la incapacità del marito “anche di fronte alla decisione della moglie di chiudere il loro rapporto matrimoniale” di ascoltare le richieste emotive più profonde della stessa; d) che la situazione di attrito si è aggravata allorché il marito si è mostrato “contrario a rapporti sessuali non finalizzati alla procreazione”; e) che causa idonea a determinare la disaffezione e l’estraneità fra i coniugi può essere ritenuta anche “l’intransigenza nell’organizzazione del quotidiano”, propria – nel caso di specie – del marito; f) che dalle prove espletate è emerso non solo il sentimento di solitudine e di frustrazione della moglie, “ma anche la mancanza di un dialogo e di un rapporto empatico tra i coniugi”; g) che la stessa vicenda processuale dimostra la incapacità del marito di “comprendere le esigenze personali della moglie e le ragioni che hanno determinato il venir meno dell’affectio coniugalis”, nell’assunto la vicenda personale, coniugale e processuale degli “ultimi anni potrebbe essere magicamente cancellata e non ci sarebbero apprezzabili difficoltà nella ripresa di una normale convivenza con la moglie, solo che il giudice lo decidesse”.

Secondo il ricorrente la Corte di appello, così motivando, avrebbe violato l’art. 151 c.c., attribuendo natura di fatti idonei a rendere intollerabile la convivenza matrimoniale in parte a fatti palesemente privi di rilevanza, ed in parte al sentimento soggettivo della moglie, erroneamente ricollegando la permanenza degli effetti del matrimonio alla persistenza dell’affectio coniugalis in entrambi i coniugi, cosicchè la disaffezione anche di un solo coniuge costituirebbe fatto idoneo a rendere intollerabile la convivenza e a giustificare la separazione. Tale affermazione sarebbe in contrasto con l’essenza del matrimonio come regolato nel diritto vigente, fondato sul consenso negoziale, che una volta espresso da luogo a un vincolo indipendente dalla volontà del singolo coniuge ed insensibile al mutamento delle inclinazioni effettive, potendo gli obblighi matrimoniali venire a cessare, a norma dell’art. 151 c.c., unicamente in base a fatti obbiettivi che rendano intollerabile la prosecuzione della convivenza. In tal senso si citano le sentenze di questa Corte nn. 4920 del 1990, 10512 del 1994, 3098 del 1995, 6566 del 1997, 12489 del 1998, 8106 del 2000, 6970 del 2003 e si sostiene che una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con gli artt. 29 e 30 Cost..

Secondo il ricorrente, inoltre, la Corte di appello avrebbe attribuito valore probatorio a manifestazioni di giudizio dei testimoni, quali quelle emergenti dalla testimonianza della teste B.B.D., nonchè a testimonianze de relato non suffragate da adeguati riscontri, e pertanto prive, secondo la giurisprudenza, di ogni valenza probatoria (in relazione all’affermata volontà del marito d’intrattenere solo rapporti sessuali finalizzati alla procreazione). Non sarebbe poi adeguatamente motivato, in relazione all’esito delle prove, l’assunto della sentenza impugnata secondo il quale esso ricorrente non era favorevole a che la moglie svolgesse la propria attività lavorativa di medico, non tenendosi, fra l’altro, conto delle deposizioni sul punto di testi che si erano espressi in senso opposto. Nè sarebbero adeguatamente motivati, tenendosi conto di tutte le emergenze processuali al riguardo e dandosene un’esatta interpretazione, vari episodi ritenuti dalla sentenza impugnata dimostrativi della intollerabilità della convivenza.

Secondo il ricorrente, ancora, la Corte di appello avrebbe utilizzato una deposizione estranea ai capitoli di prova (quella del teste N.) e implicante giudizi, ritenendola erroneamente sanata per tardività dell’eccezione, formulata solo nell’udienza successiva all’escussione della teste, e per la sua mancata riproposizione nelle conclusioni: ciò in violazione dell’art. 157 c.p.c..

Secondo il ricorrente, infine, la sentenza avrebbe violato l’art. 116 c.p.c., traendo elementi di prova dell’intollerabilità della convivenza dalla mera circostanza che esso ricorrente si era opposto alla separazione, mentre la norma non consente di desumere elementi di prova dal mero fatto di resistere a una domanda.

3. Al riguardo va premesso che l’art. 151 c.c., nel testo vigente, prevede che la separazione giudiziale possa essere chiesta quando si verifichino, “anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza”.

La norma, innovativa del precedente regime della separazione – nel quale la separazione poteva essere richiesta solo in relazione a fattispecie tipiche, evidenzianti una colpa dell’altro coniuge, e solo dal coniuge incolpevole – è manifestazione di una concezione del matrimonio e della famiglia che, dal tempo dell’emanazione del codice civile, si era andata modificando, rendendone necessaria la riforma.

La possibilità attribuita dal nuovo testo della norma a ciascun coniuge, a prescindere dalle responsabilità o dalle colpe nel fallimento del matrimonio, di richiedere la separazione, ne ha eliminato il carattere sanzionatorio ed ha modificato la posizione giuridica dei coniugi in relazione alla continuazione del rapporto quando l’affectio coniugalis sia venuta meno.

La formula adottata nel nuovo testo si è prestata a un’interpretazione di natura strettamente oggettivistica, che fonda il diritto alla separazione sull’accertamento di fatti che, nella coscienza sociale e nella comune percezione, rendano intollerabile il proseguimento della convivenza coniugale. Ma si presta anche a un’interpretazione aperta a valorizzare elementi di carattere soggettivo, costituendo la “intollerabilità” un fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno alla vita dei coniugi.

Questa Corte, partendo da una interpretazione prevalentemente oggettivistica della norma, alla quale ha ancorato il controllo giurisdizionale sulla “intollerabilità” della prosecuzione della convivenza (Cass. 1997, n. 6566; 7 dicembre 1994, n. 10512; 10 gennaio 1986, n. 67; 21 febbraio 1983, n. 1304), ha peraltro già avuto modo di affermare (Cass. 10 giugno 1992, n. 7148) che, pur dovendo, ai sensi del novellato art. 151 c.c., la separazione dei coniugi trovare causa e giustificazione in situazioni di intollerabilità della convivenza oggettivamente apprezzabili e giuridicamente controllabili, per la sua pronuncia non è necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e di distacco spirituale di una sola delle parti.

In particolare, con la recente sentenza del 14 febbraio 2007, n. 3356, questa Corte, nel ribadire tale principio, ha affermato che, in una visione evolutiva del rapporto coniugale – ritenuto, nello stadio attuale della società, incoercibile e collegato al perdurante consenso di ciascun coniuge – il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare, in base ai fatti obbiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione ed a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità, la esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, pur a prescindere da elementi di addebitabilità a carico dell’altro, la convivenza.

Ove tale situazione d’intollerabilità si verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, questi ha diritto di chiedere la separazione.

Nel caso di specie la sentenza della Corte di appello appare conforme a tale interpretazione, che deve ritenersi a sua volta conforme ai principi costituzionali espressi dagli artt. 2 e 29 Cost. i quali, riconoscendo e tutelando il primo i diritti inviolabili dell’uomo “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, e riconoscendo il secondo “i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, implicano per ciascun coniuge il diritto di ottenere la separazione e interrompere la convivenza ove, per fatti obbiettivi, ancorchè non dipendenti da “colpa” dell’altro coniuge o propria, tale convivenza sia per lui divenuta “intollerabile”, così da essere divenuto impossibile svolgere adeguatamente la propria personalità in quella “società naturale” costituita con il matrimonio che è la famiglia.

Tale interpretazione non è contraddetta dai doveri verso i figli, sanciti per i genitori dall’art. 30 Cost., i quali permangono in regime di separazione e di divorzio, cosicché la questione di costituzionalità adombrata in proposito con il motivo appare manifestamente infondata.

La dedotta violazione dell’art. 151 c.c., pertanto, non sussiste.

Nè sussistono le altre violazioni dedotte. Le affermazioni della teste B.B.D. nella sua deposizione, contrariamente a quanto dedotto con il motivo, non costituiscono espressione di giudizi ma di fatti. Mentre le testimonianze de relato relative ai rapporti sessuali fra i coniugi sono state utilizzate solo in correlazione con elementi di riscontro (vedi pagg. 16 e 17 della sentenza) e, nel loro complesso, i fatti posti a base dell’accertamento dell’intollerabilità della convivenza risultano adeguatamente motivati, restando le valutazioni sulla valenza probatoria delle singole circostanze incensurabili nel giudizio dinanzi a questa Corte, rientrando i relativi apprezzamenti nei margini di discrezionalità del giudice di merito incensurabili in questa sede. Quanto, poi, alla deposizione del teste N., correttamente la Corte di appello ha ritenuto di avvalersi degli elementi di fatto da essa emergenti, mentre esattamente ha ritenuto che l’eccezione di nullità della deposizione, per la sua estraneità ai capitoli di prova ammessi, in quanto nullità relativa, poichè non formulata al momento dell’escussione del teste da parte del difensore presente all’espletamento della prova, ma solo nell’udienza successiva e neppure riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, doveva ritenersi sanata (Cass. 3 aprile 2007, n. 8358; 1 luglio 2002, n. 9553; 17 dicembre 1996, n. 11253; 16 gennaio 1996, n. 303; Cass. 28 aprile 2006, n. 9935; 29 marzo 2005, n. 6555; 30 luglio 2004, n. 14587; 15 aprile 1999, n. 5925). Quanto, infine, alla violazione dell’art. 116 c.p.c., neanche essa sussiste, avendo la Corte di merito tratto, con apprezzamento discrezionale incensurabile in questa sede, come la norma le consentiva, argomenti di prova dal complessivo e specifico comportamento processuale dell’odierno ricorrente, e non semplicemente dal suo mero opporsi alla domanda di separazione.

4. Con il terzo motivo si deducono vizi motivazionali in ordine all’affidamento dei figli alla madre disposto con la sentenza, respingendosi, secondo il ricorrente, senza adeguata motivazione, sia la domanda di affidamento alternato formulata da esso ricorrente, sia la richiesta di rinnovazione della CTU sul punto.

Anche tale motivo è infondato, risultando la sentenza adeguatamente motivata anche in ordine all’affidamento dei figli, specificandosi che nel caso di specie “il cambiamento periodico della collocazione dei minori e della gestione del quotidiano provocherebbe nei minori la perdita di punti di riferimento stabili e uno sdoppiamento che li obbligherebbe, ogni volta, a adattarsi a situazioni molto diverse, perché molto diverso, per sensibilità, cultura, carattere, è il modo di rapportarsi di ciascun genitore nei confronti dei figli”.

Quanto, poi, al rigetto della richiesta di rinnovazione di consulenza tecnica, trattasi di scelta incensurabile in questa sede, essendo rimessa in via esclusiva al giudice di merito e risultando, dal complesso della motivazione in ordine al regime di affidamento dei figli,adeguatamente motivata.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato e nulla va statuito sulle spese, stante l’inammissibilità del contro-ricorso.

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